Per la Giordania, l’espansione dello Stato Islamico, ormai giunto a pochi chilometri dal suo confine con l’Iraq, rappresenta la più grande minaccia per la stabilità politica e sociale. Specialmente dopo la conquista di Mosul, molti cittadini giordani hanno mostrato un particolare interesse agli scontri che avvengono sui territori di Siria e Iraq, e hanno cominciato ad interrogarsi in ordine ai possibili eventuali sviluppi. L’enorme preoccupazione del governo di Amman non si fonda solamente sulla relativa vicinanza alle principali zone di conflitto, ma è generata soprattutto da fattori interni.
Nel quadro della situazione critica che da anni caratterizza le regioni del mondo arabo, la monarchia hashemita, benché durante l’ondata di sommosse della Primavera Araba sia riuscita a mantenere intatte le proprie istituzioni, non è rimasta immune da costanti tensioni sociali e da diverse spinte integraliste all’interno del paese. A preoccupare maggiormente il re ʿAbd-Allah II, specialmente dopo la caduta del presidente egiziano Muḥammad Mursī nel 2013, è la crescente diffusione della retorica jihadista di alcuni esponenti dei movimenti salafiti e dei Fratelli Musulmani del Fronte di Azione Islamica, il principale partito di opposizione giordano, la quale potrebbe alimentare delle simpatie per l’ISIS, in particolare nelle aree abitate dalle classi sociali più basse. Secondo un
sondaggio del Center for Strategic Studies dell’Università di Giordania, il 10% dei 6,5 milioni di residenti nel paese hanno espresso pareri positivi nei confronti dello Stato Islamico.
La maggior parte di questi simpatizzanti sono concentrati nell’area di Maʿān, capitale dell’omonimo governatorato, situata circa 200 chilometri a sud di Amman, e storica roccaforte dei movimenti di opposizione alla monarchia hashemita. In questa città, caratterizzata da indici di povertà e disoccupazione molto superiori rispetto alla media nazionale, sono scoppiate diverse proteste durante il 2014 e in diverse occasioni i manifestanti hanno sventolato la famigerata bandiera nera e hanno espresso il loro sostegno allo Stato Islamico. Nei giorni seguenti a una manifestazione di ottobre 2014, alcuni militanti dell’ISIS hanno pubblicato messaggi di solidarietà alla popolazione di Maʿān, riferendosi alla città con l’appellativo di “Falluja della Giordania”, chiaramente in relazione con la città irachena nella quale è emersa l’organizzazione jihadista. Tuttavia, sia le autorità
giordane che i leader salafiti hanno negato l’esistenza di un collegamento tra le proteste e il movimento di Al-Baġdādī. Nonostante l’aumento della popolarità della retorica jihadista in alcuni settori della popolazione, il re ʿAbd-Allah II continua ad essere una figura molto amata nel paese e i presupposti di un rovesciamento del regime sono minimi rispetto a quanto accaduto nelle vicine Siria e Iraq.
Se le tensioni interne sono facilmente gestibili, le questioni provenienti dall’esterno sono molteplici e rendono ulteriormente instabili i fragili confini del regno hashemita. Da una parte, il governo giordano deve fare fronte al dramma dei rifugiati. La guerra in Siria ha provocato la fuga di migliaia di uomini, donne e bambini che si sono stanziati nella regione settentrionale del paese, causando un allarmante aumento della miseria. La minaccia più preoccupante è però costituita dagli oltre 2000 foreign fighters giordani che attualmente combattono in Siria sotto il vessillo dell’ISIS o di altre organizzazioni fondamentaliste e che, una volta tornati nel paese, potrebbero diffondere sentimenti anti-monarchici o reclutare nuovi combattenti. In risposta a questo fenomeno, il governo giordano, oltre ad aver proposto una nuova legge che amplia il concetto di “terrorismo” fino a criminalizzare i
sostenitori online delle organizzazioni armate jihadiste , ha realizzato una nuova campagna di sicurezza dei propri confini e ha disposto un ingente numero di truppe di terra lungo le frontiere, al fine di evitare che persone non identificate entrino nel paese.
L’allarmante difficoltà nella gestione dei confini nazionali ha spinto il governo di Amman a svolgere un ruolo di prima linea nella coalizione militare internazionale, specialmente a partire da settembre 2014. Fino a quel momento, la Giordania ha dato un sostegno indiretto al suo alleato americano nella guerra in Siria, fornendo appoggio per basi militari statunitensi, allestendo campi di addestramento per i ribelli siriani e convogliando armi provenienti dai paesi del Golfo . Il supporto giordano agli Stati Uniti non ha mai trovato ampio consenso in alcune frange dell’establishment del regno e ha alimentato il sentimento anti-occidentale delle autorità delle tribù locali, le quali, rappresentando una grossa parte della classe dirigente, esercitano una notevole
influenza nella politica interna.
La pubblicazione da parte dell’ISIS del video sull’uccisione di Muʿāḏ Al-Kasāsba, il pilota dell’aviazione giordana catturato e arso vivo dai militanti jihadisti, ha scosso notevolmente l’opinione pubblica giordana, e in maniera particolare quella parte di popolazione che vedeva con diffidenza il coinvolgimento del regno hashemita nella Grande Coalizione. La vicenda di AlKasāsba ha colpito il sentimento di orgoglio nazionale dei cittadini giordani, tanto da indurre coloro che erano contrari all’impegno in Siria ad appoggiare l’intensificazione degli attacchi contro lo Stato Islamico.
La reazione di Amman è stata dura e immediata. Nei giorni immediatamente successivi al rilascio del video dell’esecuzione del pilota giordano, ʿAbd-Allah II ha lanciato un appello all’unità nazionale e, non senza aver avuto pressioni da parte delle tribù vicine alla famiglia di Al-Kasāsba, ha organizzato la rappresaglia. In tre giorni l’aviazione giordana ha colpito circa 56 postazioni dell’ISIS in Siria, dichiarando, successivamente, di aver distrutto il 20% delle capacità militari dell’organizzazione . Il governo di Amman è, dunque, deciso a condurre la sua offensiva finché il nemico non sarà annientato e non esclude la possibilità dislocare truppe di terra nelle zone di conflitto. La chiusura di un nuovo accordo di cooperazione militare con gli Stati Uniti, secondo il quale la Giordania riceverà un miliardo di dollari all’anno per i prossimi tre anni, dimostra le intenzioni della monarchia hashemita di partecipare più attivamente e con un maggiore dispiegamento di forze alla lotta al terrorismo.
Tuttavia, la stabilità della Giordania si regge su equilibri molto fragili. Per tale motivo, il re ʿAbdAllah II dovrà necessantemente impegnarsi nel gestire e mantenere unite le diverse fazioni di una popolazione sempre più preoccupata dalle crisi che colpiscono i paesi vicini.
Fonti
1. Haddad Saleem, “Jordan combats the Islamic State by addressing domestic grievances”, in BarnesDacey
Julien, Geranmayeh Ellie, Levy Daniel, The Islamic State through the regional lens, European
Council on Foreign Relations (ECFR), Londra, 2015, pp.54
2. Ma’aye Suha, “How Jordan Got Pulled Into the Fight Against ISIS”, Time, 26 febbraio 2015,
http://time.com/3721793/jordan-fight-against-isis/
3. Natta Alberto, “La rappresaglia della Giordania contro lo Stato Islamico”, Limes online, 16 febbraio
2016, http://www.limesonline.com/la-rappresaglia-della-giordania-contro-lo-stato-islamico/73924